Lo slogan biblico che accompagna la nostra decennale eucaristica è una citazione tratta dal libro di Neemia. A dispetto delle sue dimensioni (ridotte), si tratta di un libretto di grande interesse, perché ci offre – insieme al libro di Esdra – uno spaccato della storia e della coscienza del popolo ebraico in un momento decisivo della sua vicenda. Siamo alla fine del tempo umiliante dell’esilio in Babilonia, tempo nel quale tutti i riferimenti che sostenevano la sua identità di “popolo eletto” erano perduti: senza più la terra promessa da Dio; senza più il Tempio, depredato e distrutto; senza più una dinastia regale da cui attendere il Messia, dopo che l’ultimo re era stato umiliato e deportato.
Quando il re persiano Ciro conquista Babilonia (539 a.C.) accade quanto ormai non si sperava più. Con un suo decreto, egli concede agli esuli di fare ritorno e di ricostruire Gerusalemme e il Tempio. Per Israele è il segno della rinascita. Dio ha perdonato e il popolo può “risorgere”. Si torna in vita per la misericordia di Dio.
Il sacerdote Esdra e il governatore persiano Neemia sono tra i protagonisti della faticosa ricostruzione dopo il ritorno; sono loro a terminare i lavori e a celebrare la rinascita. Il nostro versetto fa parte di una scena suggestiva. Nella città di Gerusalemme, finalmente rinnovata, con le mura e il Tempio ricostruiti, il popolo si raccoglie «come un solo uomo» in una piazza. Alla presenza del governatore Neemia, il popolo chiede al sacerdote Esdra di portare il Libro della Legge di Mosè, «che il Signore aveva comandato a Israele», perché ne sia data pubblica lettura e spiegazione. Salito su una tribuna, dall’alto, per sette giorni, Esdra legge solennemente il Libro.L’assemblea si alza in piedi; ascolta in silenzio; e si commuove («Tutto il popolo piangeva mentre ascoltava le parole della Legge»).
È qui che incontriamo l’esortazione del sacerdote Esdra: «“Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza”. (...) Tutto il popolo andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni e a esultare con grande gioia, perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate» (Ne 8,10-12).
Come al tempo di Neemia, anche noi dobbiamo celebrare una festa nella nostra comunità cristiana mentre viviamo un cambiamento d’epoca, una crisi che ci disorienta, e forse ci scoraggia un po’. Le nostre chiese sono sempre più vuote; sempre meno sono le vocazioni al sacerdozio; ma, soprattutto, ci sono sempre meno giovani nelle nostre parrocchie e noi facciamo una certa fatica a trasmettere loro il senso e la bellezza della nostra esperienza di credenti.
L’invito di Esdra non ha perso di attualità: «Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». Ci esorta a ritrovare l’essenziale; a rinnovare la memoria del bene ricevuto; a ricordare le meraviglie compiute dal Signore, anche in mezzo alla nostra comunità. A richiamare il volto e la storia di tante persone semplici, che hanno vissuto e mantenuto viva la fede tra noi. Non dovremo, prima delle nostre strutture (obsolete e pesanti), trasformare gli occhi e il cuore e sintonizzarli con il cuore di Dio, “aperto” per noi nel dono dell’eucaristia?
Tre suggestioni ci vengono dal testo di Neemia. Anzitutto, l’importanza di ripartire dall’ascolto. Non possiamo dare per scontato ciò che non lo è: la nostra coscienza, il nostro sguardo, hanno bisogno di essere plasmati nell’ascolto continuo, paziente, orante della Parola di Dio, che ci orienta e ci ricorda quale progetto di vita in favore dell’uomo abiti il cuore di Dio, senza ripensamento. Parola ispirata che ci consente di riconoscere i luoghi dove si svolge la vita della nostra gente a partire da uno sguardo contemplativo, uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle nostre case, nelle strade, nelle piazze. «Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero» (EG71).
La seconda suggestione si lega alla prima. Nel racconto biblico il vero protagonista è il popolo. È il popolo che mette in moto l’azione; non il sacerdote. Inoltre, l’assemblea si riunisce in una piazza, fuori dal Tempio: il contesto è in tutto fortemente «laico». Lo trovo consonante con l’invito del nostro papa Francesco a ripensarci come «Chiesa in uscita» e a superare una certa «mentalità clericale» (mettere il prete solo al centro della vita della comunità), la quale spegne le energie migliori e mortifica i carismi che lo Spirito Santo semina in mezzo a noi. Tutti abbiamo ricevuto il dono dello Spirito e perciò, al momento di riflettere, pensare, valutare, discernere sulla vita della nostra comunità e sulla testimonianza che dobbiamo al vangelo di Gesù in questo territorio e in questo tempo, tutti dobbiamo coinvolgerci ed essere preoccupati che non manchi il nostro contributo creativo, non solo “operativo”, al bene di tutti. Inoltre, una comunità «in uscita» sperimenta che il Signore «ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore, e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva»(EG24). Ci farebbe molto bene se ci spingessimo fuori dagli spazi consueti per incontrare e riconoscere la vita che “scorre” nel nostro quartiere.
L’ultima suggestione è l’invito alla gioia, anche nella fatica (nel pianto). La gioia è il “respiro” del cristiano; è quanto ci si aspetta da una persona che ha avuto il dono di incontrare il Signore. Come scrive Francesco: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (EG1). Questa gioia non può dipendere dalle condizioni esterne a noi (sempre mutevoli, e comunque difficilmente “perfette”): ma è un dono dello Spirito Santo, è la presenza del Signore risorto in noi e tra noi («dove due o tre sono riuniti...»). E tale gioia ha a che fare con la condivisione, col «mandare porzioni a coloro che non hanno nulla di preparato», coi più poveri. «Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita» (EG3). Questa non è la scelta di una vita degna e piena, non è il desiderio di Dio per noi. Chiediamo al Padre che la nostra Decennale eucaristica sia animata dalla vita nello Spirito, affinché la gioia del Signore risorto sia davvero e sempre la nostra forza.
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